Povero Marchionne L’economia non è proprio una scienza esatta Vorremmo dire sommessamente, senza nessuna alterigia, che l’economia non si può considerare propriamente una scienza esatta. Questa semmai potrebbe essere la fisica o la matematica, altrimenti non avremmo visto un contrasto lungo un secolo ed oltre fra le ricette proposte da Keynes e quelle di Hayeck, Schumpeter non sarebbe stato intimamente convinto della vittoria del modello socialista su quello di mercato e non ci sarebbero le furenti polemiche più recenti fra Krugman da una parte e Reinarth e Rogoff dall’altra. Persino l’astro nascente economico del nuovo secolo, Thomas Piketty, si è ritrovato in poche settimane sotto accusa dal meno conosciuto Chris Giles per aver impiegato i dati sulla ricchezza dell’1% in Svezia nel 1908, invece che quelli del 1920. Un errore fatale se si vogliono dimostrare gli scompensi letali del capitalismo. Per cui Giles confuta la tesi di Piketty della diseguaglianza in aumento nel mondo occidentale, visto che i parametri sono rimasti grosso modo intatti durante l’ultimo mezzo secolo. Un altro economista ancora, Jason Furman, non discute il fatto che l’1% della popolazione ricca sia diventata sempre più ricca, ma è convinto che lo studioso francese sottovaluti gli squilibri nei redditi da lavoro, soggetti a troppe varianti tecnologiche. Questo per dare un’idea di quello che si tratta, tanto che, quando Sergio Marchionne dice che le assunzioni a Melfi sono dovute al Job acts, è piuttosto inutile stare a replicare che le assunzioni invece si sarebbero fatte comunque perché imposte dal mercato: il mercato non impone anche dove farle, le assunzioni. Forse i nostri amici del sindacato non hanno fatto un bilancio conseguente della vicenda del gruppo Fiat in Italia, infatti, ieri ci dicevano che Marchionne era un nemico dei lavoratori, oggi son tutti lì a dirgli bravo, bravo. Può darsi che abbiano ragione, ovvero che il job acts non c’entri niente, e che pure Marchionne abbia promesso al governo investimenti solo in cambio di un bel ceffone affibbiato ai sindacati. La ripresa si fa anche così, prendendo a sberle chi l’ha ostruita per anni. Fiat è pur sempre stata un’azienda che dal secondo dopoguerra fino agli anni ’80 del secolo scorso, è vissuta sotto la minaccia ed il ricatto di un mondo del lavoro pronta in ogni momento a metterle i bastoni fra le ruote. Per restare in piedi ha avuto bisogno degli aiuti di Stato, ed è possibile che nemmeno gli aiuti di Stato sarebbero più bastati, quando non si può licenziare chi non risponde agli standard di produzione, o peggio, quando li licenzi, e poi la magistratura li costringe a riassumerli. Dal nostro punto di vista con il Job acts, cambia poco o niente. Ma guarda un po’, dopo il job acts Marchionne è tornato ad assumere ed ha lodato il governo. Se fa propaganda lui, figurarsi coloro che si permettono di contestarne le argomentazioni. Quando saranno costoro ad assumere tremila persone in una loro azienda, qualunque cavolata sostengano, state sicuri che allora gli daremo volentieri ragione. Roma, 15 gennaio 2015 |